La strada che portava da nessuna parte

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Una volta abitava nel comune di Messago, provincia di Monza e Brianza, un tale chiamato Clodoaldo Baj, detto pero’ da tutti gli altri messaghesi “il matto del pratone”.
Costui si era meritato quel soprannome per essere un tipo originale, perfino più bizzarro del nome che portava. Teneva i suoi capelli grigi lunghi e raccolti in una coda di cavallo e, non importa quale stagione fosse, il suo abbigliamento consisteva in un paio di pantaloni grigi e una maglia leggera coperta da un poncho alla messicana molto colorato e un po’ frusto. A vederlo, pareva un misto tra Caròn dimonio dagli occhi di bragia e Clint Eastwood. Il signor Baj era anche un tipo solitario: si era scelto come posto dove vivere un angolo poco frequentato del comune, un campo pieno di erbacce e all’apparenza abbandonato. Là in mezzo la sua casa, un grosso gabbiotto a forma di cupola, spuntava come un enorme timballo di polenta grigia in mezzo a una vasta insalata di brugo rossiccio. Il matto del pratone era anche molto attaccato alla sua proprietà, non lo si vedeva lontano mai da essa. E lo era al punto da allontanare senza tante cerimonie chiunque. Se, per sbaglio, ti capitava di avvicinarti troppo, ti poteva succedere di vedertelo spuntare a caricarti furibondo con la doppietta in braccio. Solo i pochi animali randagi potevano avvicinarsi senza troppi rischi alla sua magione, in particolare i gatti, questi ultimi da lui ritenuti, testuali parole, “le uniche persone davvero civili in questo mondo”. Proprio così: chiamava i gatti “persone”. Nessuno sapeva come quell’uomo si guadagnasse da vivere. Aveva sì, un orticello e uno striminzito pollaio, ma sia l’uno che l’altro parevano gestiti senza troppa cura. Giravano, su di lui, perfino strane leggende secondo le quali qualche sparuto testimone avrebbe visto, in certe notti, filtrare dalle pareti della sua cupola luci dai colori bizzarri accompagnate da strani suoni. Per questi e per altri motivi, il Nostro non stava simpatico a troppi, anche se i pochissimi amici che aveva giuravano che fosse, in realtà, del tutto innocuo e tutt’altro che matto. Comunque fosse, col tempo, tra questi e il resto del paese, si era instaurato una sorta di patto di mutua non-aggressione: la gente non andava a infastidirlo e lui non andava a infastidire la gente e tutti erano contenti.Questo fino al giorno in cui, in Regione, fu decisa la costruzione di una nuova bretella autostradale che sarebbe passata proprio per Messago. Fin qua, niente di male se non fosse stato che a certi signori, tanto in Regione quanto in Comune, piacque l’idea di modificarne il progetto già approvato per aggiungere un’uscita per il paese. Era una cosa del tutto inutile, in realtà, ma, perdinci, i soldi non sono forse fatti per essere spesi? E poi c’erano un sacco di altre buone ragioni per per farla. Centomila a testa, per la precisione. Così, venne approvata la costruzione del nuovo svincolo che sarebbe sorto nell’unico punto del territorio messaghese dove lo si poteva costruire e, un bel giorno, il signor Baj si vide consegnare da uno spaurito messo comunale una notifica di esproprio. Al matto del pratone, la cosa non piacque: contattò un avvocato (non chiedetemi dove avesse trovato i soldi per pagarlo: è, anche questo, un mistero) e trascinò davanti al foro di Monza tutti, dal comune di Messago, fino alla Regione Lombardia. Inutilmente. Perse in primo grado, in appello e in Cassazione, dopo mesi e mesi di snervanti rinvii. Non riuscì ad ottenere ragione neppure al T.A.R., e il tutto per motivi che, ancora tutt’oggi, sono oggetto di discussioni varie. Per impedire, allora, che gli distruggessero la casa, il signor Baj disperato giocò la carta della resistenza passiva: piantò un paletto di legno nel suo terreno e ci si incatenò con una robusta catena, nella speranza anche di attirare l’attenzione su di sé e sulla sua vicenda Purtroppo, in quella pagò lo scotto della sua cattiva fama: i suoi concittadini pensarono che si trattasse dell’ennesima alzata d’ingegno del matto del pratone perciò, quando la polizia si presentò il giorno dell’inizio dei lavori, fu per prelevarlo con la forza.
Il poveretto fu chiuso in una cella per resistenza e insulti a pubblico ufficiale e tutto ciò che poté portar via con sé fu uno strano aggeggino colorato, forse una specie di cubo di Rubik. Il suo compagno di cella glielo vide girare e rigirare mentre il suo possessore biascicava piene di asprezza, disperazione e tanto, tanto rancore: “Mi vendicherò. Di tutti quanti!”.
La mattina seguente, il povero sfollato fu trovato morto. I medici dichiararono che fu a causa di un arresto cardiaco.
Il matto del pratone non lasciò granché: qualche mobile di scarso valore, alcuni libri d’arte, un pc non proprio all’avanguardia, dei DVD con sopra files protetti da password, e degli strani arnesi che, apparentemente, non avevano alcuna funzione pratica. Un giornale locale gli dedicò due o tre righe in cronaca e dopo un funerale modesto, anche per affluenza, un’altra vicenda umana venne archiviata.

Così, almeno sembrava, fino a quando, finalmente, il famigerato svincolo non fu aperto. I guai cominciarono poco dopo il giorno stesso dell’inaugurazione, quando il Sindaco, partito in auto per il capoluogo, sparì senza lasciare traccia. In quelle stesse ore, si lamentò la scomparsa anche di una maestra delle locali elementari a bordo della sua Yaris, di un gruppetto di giovani in cerca di divertimento sopra la loro Ford di seconda mano, di altre tre o quattro vetture con tanto di occupanti e, perfino, di una corriera, con viaggiatori, conducente e tutto. E quello fu solo l’inizio: rapidissimamente, la lista degli scomparsi s’allungò in maniera impressionante, attirando la comprensibile attenzione dell’opinione pubblica e delle Autorità. Non ci volle molto tempo per capire che le sparizioni avvenivano tutte in una zona molto ristretta del territorio di Messago e, poi (grazie a qualche testimone oculare decisamente sconvolto), in corrispondenza di una certa uscita autostradale di recente costruzione. Alla fine, la verità saltò fuori, per quanto incredibile potesse sembrare: chiunque imboccasse quella lingua d’asfalto svaniva letteralmente nel nulla, peggio che nel Triangolo delle Bermude. I soliti scettici, naturalmente, non mancarono di avanzare dei dubbi, ma i fatti parlavano chiaro: la gente, lì sopra, spariva davvero. Da quel momento, la tensione attorno e dentro al paese crebbe sempre di più, fino a diventare incontrollabile. La gente arrivò ad avere talmente paura di quello svincolo che neanche più volevano abitargli vicino: il valore delle case nei pressi dell’ex-brughiera crollò a zero. A complicare la situazione, giunsero da ogni parte frotte di curiosi, tra amanti del mistero e scienziati della domenica, la maggior parte dei quali finiva, nonostante le precauzioni prese, per cader in bocca al misterioso nulla che attendeva in agguato vicino all’autostrada. Di fronte al montare dell’assurdità e dell’orrore, in molti decisero di abbandonare Messago e, in breve, il comune si spopolò come neanche ai tempi della peste manzoniana. Nel frattempo, le indagini procedevano e alla fine, tutti i nodi vennero al pettine: i retroscena sulla costruzione dello svincolo, nei quali era coinvolto anche lo scomparso sindaco, riemersero dal dimenticatoio con fragoroso clamore. Anche la storia del povero signor Baj tornò alla ribalta e giustizia fu finalmente fatta, ma le domande che interessavano più tutti non trovarono risposta. Che fine avevano fatto gli scomparsi? Sarebbero mai stati ritrovati? Qual era l’origine di quella che oramai anche tra gli increduli era chiamata “la strada che porta da nessuna parte”? E chi era veramente Clodoaldo Baj, qual era il suo legame con quel pezzo di strada? E quelli trovati nella sua capanna erano davvero aggeggi senza significato? L’unica persona che avrebbe potuto rispondere a tutte le domande e forse a poter rimettere tutto a posto, era ormai morta da troppo tempo. Una cosa restava certa: la sua vendetta la aveva avuta.

Martino Tontodonati, 2016